Stabilità dei boschi artificiali di Conifere
Con sempre maggiore frequenza si verificano eventi meteorici eccezionali, in alcuni contesti le ripercussioni sono gravi, a parità di intensità di evento in alcune condizioni gli effetti sono peggiori. E' il caso ad esempio dei boschi artificiali di Conifere, con Abete rosso (Picea abies) Duglasia (Pseudotsuga menziesii), Larice (Larix decidua) e Pino strobo (Pinus strobus).
Le cadute in questi boschi artificiali di conifere riguardano molte piante, il popolamento viene compromesso, possono verificarsi condizioni di pericolo per le persone. In molti casi gli interventi di forestazione con conifere esotiche sono stati eseguiti anche nelle aree a verde, pubbliche e private, con ampie superfici di conifere messe a dimora con distanze di impianto ridotte (es 4x4 metri o 5x5 metri). Le piantagioni realizzate con questi criteri (utilizzo di conifere, distanze di impianto ridotte, aree fruibili dalle persone) possono rappresentare rischio elevato nel lungo periodo. La stabilità delle piante può essere ridotta dopo 30 anni e più dall'impianto, con rischio crescente all'aumentare delle dimensioni degli alberi.
Ora, è buona cosa chiedersi le cause degli avvenimenti, se gli effetti possano essere evitati e previsti, quali possano essere le migliori soluzioni per aree boscate ad elevata fruibilità.
Le piantagioni forestali di Abete rosso, Duglasia e Pino strobo trovarono origine nel secolo scorso quale intervento di selvicoltura nel quale una delle funzioni principali era il rifornimento di legna per costruzioni. Successivamente si iniziò a parlare di selvicoltura naturalistica, con interventi che avevano anche la funzione di salvaguardare e migliorare il territorio. Tuttavia le conifere furono ampiamente utilizzate anche per interventi sul verde urbano, in parchi e giardini anche di non elevata superficie. Alcune di queste aree sono intensamente fruite, si trovano in vicinanza di centri abitati e sono periodicamente percorse dai cittadini. L'elevata fruibilità complica le cose, cambiano i criteri di gestione. Da prettamente naturalistici in cui il territorio boscato fa da sé a foreste con intensa fruibilità, in cui i fattori relativi alla sicurezza diventano rilevanti.
Per approfondire lo stato di fatto è bene ricordare che queste tipologie di aree sono un'eredità del passato, costruite secondo concezioni e modalità di un tempo. Nell'attualità verrebbero costruite e gestite con modalità differenti.
Le cadute riguardano sopratutto Abete rosso e Pino strobo, specie soggette a caduta per ribaltamento della zolla. Oltre alle cause che normalmente provocano caduta delle piante (malattie dei tessuti legnosi, lavori dell'uomo, difetti strutturali, tipo di specie, cause abiotiche - fulmini) nel caso dei conifereti artificiali tre fattori sono responsabili dei cedimenti. Il primo è legato alle modalità con le quali è stata costituita l'area boscata, vale a dire con piantagione di conifere con ridotte distanze di impianto. In questo modo i singoli alberi non ricevono adeguate sollecitazioni e non formano strutture legnose adeguate (radicali, ovalizzazioni, legno di reazione, ecc.) per sopportare eventi climatici con elevata intensità.
Negli alberi le sezioni legnose aumentano di dimensioni all'aumentare delle sollecitazioni che ricevono, ad esempio la forma del tronco degli alberi è a cono, perché avvicinandosi al suolo aumentano le forze che il tronco riceve dai rami. In piante con distanze di impianto ridotte il tronco ha forma cilindrica, perché non riceve sollecitazioni dai rami laterali. Per l'apparato radicale vale la stessa regola, in assenza di sollecitazioni lo sviluppo radicale è inferiore rispetto alle radici di piante isolate o messe a dimora con distanze di impianto notevoli.
Tutte le conifere che cadono per questa causa hanno apparato radicale insufficiente rispetto alle dimensioni delle piante. L'estensione radicale, intesa come distanza dal tronco raggiunta dalle radici legnose, è insufficiente per piante adulte di prima granzezza potenziale. In conifere cadute per assenza di idonee strutture legnose di sostegno le radici arrivano a 1,5-2 metri di distanza dal tronco, misura insufficiente per mantenere in piedi piante con altezza > 25 metri.
Il gruppo di piante funziona, finché le piante rimangono raggruppate la stabilità è assicurata. Quando un evento atmosferico (ad esempio una tromba d'aria) riesce ad entrare all'interno del gruppo le piante possono cadere. Analogamente piante cresciute in gruppo e successivamente rimaste isolate (per diradamenti o cause patologiche che hanno provocato la moria di alcune piante) presentano elevato rischio di caduta. Il rischio non è costante nel tempo, ma aumenta con le dimensioni degli alberi.
Capire le cause della caduta aiuta a mettere a punto modalità di formazione di aree boscate più sicure. Nei conifereti artificiali ad elevata fruizione le distanze di impianto devono essere maggiori, ad esempio 20x20 metri, in modo che le singole piante ricevano adeguate sollecitazioni e formino strutture in grado di sopportare eventi eccezionali.
D'altro canto è anche possibile verificare la propensione al cedimento visionando l'apparato radicale che negli Abeti è molto superficiale, se le radici laterali sono lunghe 1 o 1,5 metri il rischio è elevato.
È anche possibile verificare la presenza di un corretto dimensionamento dei singoli alberi: sezioni legnose ovoidali, presenza di legno di reazione, asimmetria diametrica delle sezioni legnose, ingrossamenti nelle aree maggiormente soggette a forze (es colletto degli alberi), diametro dei rami laterali, distanza dal tronco raggiunta dalle radici.
Allo stesso modo è possibile verificare in campo l'esistenza di fattori di rischio: ridotte distanze di impianto, tronco con sezione cilindrica in tutta la sua altezza, diametro ridotto dei rami laterali, assenza di ramificazioni secondarie o terziarie, sviluppo radicale contenuto, diametro delle radici principali ridotto.
Esiste una metodologia che quantifica il rischio alla caduta per ribaltamento della zolla, è la prove di trazione o Pulling test, ma improponibile in campo forestale e su larga scala. L'altro fattore di caduta è legato al primo ed è l'effetto domino, le piante che cadono investono altre piante, queste magari posseggono adeguate strutture per sopportare eventi molto intensi. Spesso questo fattore determina lo spezzamento del tronco della pianta investita.
Può essere presente un terzo fattore responsabile della caduta delle piante, la presenza di una strada carrabile e della viabilità in generale può determinare condizioni inidonee per le radici, con moria di radici legnose al di sotto del piano stradale.
I moderni criteri di selvicoltura naturalistica escludono che un intervento di forestazione sia eseguito con una sola specie (ad esempio Picea abies) o con un solo tipo di pianta (ad esempio solo con Conifere), la scelta delle specie dovrebbe prediligere piante meglio inserite rispetto alle caratteristiche del luogo.
Si parla quindi di fase climax, intendendo con ciò la formazione più in equilibrio con le caratteristiche climatiche e pedologiche di un territorio.
Dal punto di vista ambientale il danno è grave solo per i primi anni dall'evento, con assenza di copertura arborea.
Le cadute di piante arboree in popolamenti artificiali di conifere riguardano una o due specie arboree, messe a dimora artificialmente. Il danno è grave dal punto di vista economico (la fruibilità andrà ripristinata con esborso economico notevole) e paesaggistico (le formazioni con conifere vengono decimate dagli eventi meteorici con intensità elevata).
Nelle formazioni boscate distrutte dagli eventi meteorici il decorso naturale delle cose prevede l'ingresso della fase climax, con ingresso dapprincipio delle specie pioniere (ad esempio Rovo, Nocciolo, Ginestra, ecc.), successivamente delle specie arboree più in equilibrio con le caratteristiche climatiche e pedologiche del luogo (ad esempio Acero di monte, Frassino, Farnia, Tiglio, Carpino, ecc.).
Oltre ai problemi legati alla stabilità ed al rischio conseguente occorre sommare i problemi legati alle malattie, spesso concorrono ad aggravare la situazione.
È ragionevole credere che una gestione moderna dei popolamenti debba fare riferimento alla selvicoltura naturalistica, con evoluzione naturale verso il bosco climax, più stabile nel tempo e con meno predisposizione alla caduta delle piante, garantendo una più sicura fruibilità.
Dr. Giorgio Foresta
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