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La ripresa dei boschi dopo gli incendi (2pt.)

Occuparsi di ambiente qualche volta, o quasi sempre, significa occuparsi anche delle persone che vivono in quell'ambiente. Nella fattispecie l'incendio di un'area protetta ha forti ripercussioni sull'immaginario collettivo, nel senso che le persone che vivono vicino sono a volte traumatizzate da un evento così infausto, di così larga portata, che lascia sgomenti perché le singole persone nulla possono contro un evento di così grandi dimensioni. Per gli stessi motivi è sempre difficile definire quali siano le reali conseguenze del passaggio del fuoco, queste spesso interferiscono con gli aspetti emotivi che un incendio scatena nelle persone. L'incendio nell'immaginario collettivo ricorda eventi molto traumatici, distruttivi. Da questo punto di vista molto fanno gli organi di informazione. Quasi sempre un evento televisivo (una pellicola o una notizia) che preveda incendi narra di eventi molto distruttivi. La distruttività degli eventi con incendi si fissano come immagine nella mente delle persone.

L'incendio di ambienti naturali o di aree protette è un evento distruttivo, ma le valutazioni circa le risultanze non sono sempre facili, l'emotività non aiuta a definire quali possano essere i migliori criteri di intervento. Intanto i danni che un incendio determina non sono uguali dappertutto, sono tanto più bassi quanto più un'area naturale è complessa, cioè quanto più gli ecosistemi siano integri e contengano il maggior numero di specie vegetali ed animali. Nel valutare le azioni sono quindi da prendere in considerazione le capacità di auto rigenerarsi di un determinato ambiente, queste sono migliori all'aumentare della naturalità dei luoghi. Gli ecosistemi così come noi li vediamo e conosciamo sono formati da una componente non vitale (o abiotica, l'ambiente chimico e fisico) e da una vitale (biotica, gli organismi), le due componenti interagiscono determinando i risultati visibili.

Ogni ambiente ha capacità di resistenza a sollecitazioni, quali ad esempio il passaggio del fuoco. Ed anche di resilienza, cioè capacità di modificarsi a seguito di sollecitazioni ricevute. Ad esempio molte piante di climi caldi hanno sviluppato la capacità di formare spessori corticali di sughero importanti, quale capacità di resistenza al passaggio del fuoco.

Capacità di resilienza è ad esempio la modifica nella composizione delle specie di un'area a bosco quando sottoposta a fenomeni di inquinamento, da polveri o altri inquinanti prodotti dalle attività umane. Scompaiono le specie vegetali più suscettibili all'inquinamento (es. Acero di monte) e rimangono o si selezionano quelle più resistenti (es. Tiglio), cambiando la composizione delle specie. Resilienza è anche la selezione operata dal continuo passaggio del fuoco, con modifiche nella composizione, vengono selezionate le specie più resistenti.

Gli ecosistemi hanno anche un potere tampone, cioè la capacità di diminuire gli effetti di un evento traumatico. Questa capacità è tanto più elevata quanto più elevata è la naturalità degli ambienti. Incendi che riguardano il sottobosco hanno poca influenza sulle piante arboree. Queste hanno evoluto, anche in funzione degli incendi, alcune capacità di resistenza (produzione di sughero con proprietà isolanti, capacità di rigenerarsi da strutture del sottosuolo, produzione di propaguli portati dal vento lontano dalla pianta madre). Molti organismi con adulti sedentari (le piante ad esempio) hanno fasi vitali mobili (semi e talee) con possibilità di dispersione a grande distanza.

Gli incendi hanno sempre una grande influenza sugli invertebrati terricoli, la possibilità che le popolazioni di questi insetti vengano ricostituite dipende da eventuali corridoi ecologici presenti. Gli esiti di un incendio sono quindi soggetti a valutazioni, come dovrebbero esserlo anche i benefici nel tempo di un'area protetta, cioè i miglioramenti all'ambiente prodotti dopo anni di tutela ambientale e normativa. Gli incendi dimostrano anche come sia difficile a volte mettere d'accordo popolazione ed aree protette, conservazione e fruibilità o prelievo spesso non vanno d'accordo. Una delle soluzioni adottate per fare in modo che popolazione residente, fruitori ed aree protette possano convivere è la zonazione. Un'area protetta è attorniata da aree tampone nelle quali la tutela è minore.

Il caso più diffuso è quello di un'area centrale, con tutela quasi assoluta, nella quale non è permessa alcuna attività umana. Attorno a quest'area (A) una zona tampone (B) nella quale siano concesse alcune attività sottoposte ad autorizzazione. All'esterno aree (C) nelle quali siano permesse quasi tutte le attività, senza autorizzazione, tranne alcune (poche) non conformi con le finalità di un'area protetta. In questi casi le norme sono molto più chiare, è permessa la fruizione nelle aree più esterne (C), è conservata la naturalità in quelle più interne (A), sono previste aree tampone (zone B) che permettono la conservazione delle aree A ma anche di quelle più frequentate e più antropizzate (C).

Dr. Luciano Riva



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