Incarichi professionali di un Agronomo n.3
Non ricordo esattamente i dettagli di come incontrai Frate Agri, lui si trovava in Italia per divulgare le sue iniziative e darne una testimonianza. Lavorava in un centro di assistenza in un paese africano di lingua portoghese, dove aveva creato opportunità per le persone più povere. Aveva fondato una scuola ed alcune iniziative in campo agrario, in tema di orticoltura familiare. Questo fu il motivo per il quale lo conobbi. Ci vedemmo e parlammo delle opere intraprese ed in genere delle condizioni di vita dei cittadini che risedevano nella città dove aveva creato le sue iniziative. Qualche tempo più tardi mi chiamò. La commissione europea, nella sede della capitale di quello stato, aveva aperto un bando a fondo perso tramite il quale finanziava iniziative di orticoltura che aiutassero il sostentamento familiare. Erano necessari alcuni requisiti per poter partecipare ed occorreva presentare un progetto organico, successivamente una commissione avrebbe deciso in merito all'ammissibilità ed all'accesso al credito a fondo perso. Uno dei requisiti per partecipare risiedeva nella forma, non potevano partecipare persone singole né famiglie, ma solo cooperative o forme associate di produttori familiari. Frate Agri mi invitò, per un periodo di tempo, a visitare la sua realtà ed al contempo a parlare del progetto. L'aereo faceva scalo a Lisbona, successivamente la lunga tratta fino alla capitale del paese ospite, poi altra tratta in aereo per raggiungere la sede delle attività agricole, cittadina non molto grande nel nord del paese.
Occorreva adeguarsi alla realtà locale, in riferimento all'alloggio, ma soprattutto alla gran quantità di animali (invertebrati coleotteri e mammiferi roditori) che avevano trovato alloggio nei pressi dell'abitazione che avrei occupato temporaneamente.
I sopralluoghi nelle realtà agricole familiari iniziarono quasi subito, accompagnato da un perito agrario locale, neo diplomato e buon conoscitore del territorio.
Nel paese non esisteva la proprietà privata dei terreni, se qualche persona voleva coltivare una superficie doveva trovare un terreno libero, non coltivato da nessuno. Successivamente l'autorità locale avrebbe provveduto a dare in uso il terreno.
Così accadde anche a Frate Agri, il primo terreno libero con buona superficie era localizzato ad una distanza di 100 Km dalla città, per arrivarci occorrevano 7 ore di fuoristrada. Il terreno prendeva il nome di Ñafuba ed aveva una superficie di 200 Ha, quasi interamente coperti da boschi. Impiegammo un giorno per raggiungere questa località, al passaggio del fuoristrada le persone uscivano dalla vegetazione, fermandosi sul bordo della strada guardavano incuriosite chi passasse da quei luoghi così isolati. In questa località occorreva descrivere e prelevare elementi che sarebbero confluiti nel progetto. In pratica descrivere lo stato di fatto, in riferimento alla messa a coltura dei suoli, guardare le coltivazioni già esistenti, descrivere il suolo e prelevare campioni da analizzare successivamente, parlare con la popolazione locale in merito alle necessità agricole, verificare tutte le condizioni che permettevano o che erano di disturbo all'impianto di una coltivazione orticola. I locali non vivevano in posizione eretta, ma accovacciata per meglio gestire il fuoco, dal quale dipendeva il loro sostentamento.
La loro attività giornaliera consisteva nel governare il fuoco, necessario a cuocere i cibi e costituito da due tronchi che man mano avvicinavano. Non possedevano neanche la padronanza del fuoco, nel senso che questo non si spegneva mai. Un nostro accompagnatore fece la domanda da occidentale che tutti temevano: "...e se il fuoco si spegne come fate a riaccenderlo?". Il fuoco non poteva spegnersi, poiché da questo dipendeva la loro alimentazione. Con un po' di fatica l'intervistato rispose comunque che se si fosse spento sarebbe andato nel villaggio vicino, distante qualche ora di cammino, a prendere alcuni tizzoni accesi. Ma questo non era mai accaduto. I sopralluoghi proseguirono anche in altri luoghi, meno lontani dalla città, sempre in compagnia del perito agrario locale. Con lui durante le giornate raggiungevamo alcuni orti già esistenti, dove era necessario dare informazioni riguardanti le coltivazioni, il risparmio idrico (non per risparmiare acqua, ma per far bastare la poca acqua esistente), corrette semine e fasi colturali.
Le questioni da risolvere erano comunque molteplici: esistenza di vegetazione spontanea per una superficie di circa 200 Ha nei terreni da mettere in coltivazione, assenza di meccanizzazione e macchine agricole, scarsa conoscenza di corrette tecniche di coltivazione anche per mantenere nel tempo la fertilità dei suoli, suoli molto sabbiosi con scarsa capacità di ritenzione idrica, lontananza dalla città, mancanza di sistemi di trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli, con il risultato di disponibilità sul mercato solo nella stagione di maturazione e basso prezzo di vendita.
Quando tornai nella civiltà esposi i problemi a Frate Agri, fummo d'accordo nel ritenere il progetto una buona occasione per risolverne alcuni. Dopo alcuni giorni di elaborazione il progetto fu consegnato alla delegazione della comunità europea nella capitale, e partecipò, assieme ad altri, alla selezione. L'importo del finanziamento fu diviso fra i progetti vincitori e gli sforzi fatti dalle persone che scrissero il bando, in merito all'arrivo diretto dei benefici ai coltivatori, andarono a buon fine.
Dr. Luciano Riva