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Bombe d’acqua o nubifragi: il territorio in che modo risponde?

Sempre più spesso il termine bomba d’acqua è utilizzato per indicare le violente ondate di maltempo che colpiscono i territori.

La parola bomba d’acqua non è un termine inserito nel glossario meteorologico, bensì è un termine giornalistico coniato dai mass-media italiani come libera traduzione del vocabolo inglese cloudburst (letteralmente ‘esplosione di nuvola’). Non è altro che un violento nubifragio in cui la quantità di pioggia caduta supera i 30 millimetri all’ora.

Il termine corretto usato dai meteorologi è, appunto, nubifragio, poiché la tradizionale classificazione delle precipitazioni in base all’intensità è la seguente:


• meno di 1mm/hr pioviggine;


• 1-2 mm/hr pioggia debole;


• 2-6 mm/hr pioggia moderata;


• 6-10 mm/hr pioggia forte;


• 10-30 mm/hr rovescio;


• oltre 30mm/hr nubifragio.


Questa classificazione andrebbe rivalutata secondo gli andamenti delle piogge e magari utilizzare il termine bomba d’acqua per identificare le precipitazioni con intensità superiore ai 100mm/hr, ben più forti rispetto ad un semplice nubifragio. L’espressione bomba d’acqua, attualmente, si riferisce agli ingenti danni che questo eccesso di pioggia può causare nelle aree che colpisce:


• allagamenti,


• straripamenti,


• danni a tubazioni,


• alberi sradicati e traffico bloccato.


Queste precipitazioni così intense hanno sempre un esito dannoso ed imprevedibile.

Quello che interessa la gestione del territorio è, però, quello di convivere con le piogge attraverso una buona gestione idraulica del territorio urbanizzato, rivendendo con ciò la reazione dello stesso rispetto alle precipitazioni. Spesso leghiamo i danni alla sola intensità di pioggia senza considerare la tipologia di area urbanizzata in cui essa si sia abbattuta.



A questo proposito è stato lanciato l’allarme da uno studio del Politecnico di Torino apparso nei mesi scorsi sul Geophysical Research Letters e scritto da tre esperti di idrologia del Dipartimento di Ingegneria per l’Ambiente, il Territorio e le Infrastrutture del Politecnico di Torino, in cui si afferma che le città italiane sono in ritardo nel predisporre piani di adattamento alle cosiddette bombe d’acqua.


L’indagine esamina in particolare i nubifragi estremi italiani, ormai comunemente e improvvidamente denominati bombe d’acqua e conclude che in alcune aree la loro intensità sta effettivamente aumentando.


Questo fatto è molto complesso da spiegare in quanto è legato ad analisi statistica dei dati metereologici raccolti negli anni e non devono essere accorpati con idee confuse di carattere climatico (vedasi articolo Paolo Pozzi, Rivista Orticola - estate 2020).


L’unica cosa certa sono i dati ma non le cause generali. Le piogge torrenziali di breve durata, tipicamente di qualche ora, mettono a dura prova i sistemi di drenaggio delle città e sono sempre più spesso causa di vittime, determinate dalla mancanza di preavviso, di conoscenze e di prudenza, soprattutto alla guida.


È necessario rivedere, ristudiare, i sistemi di drenaggio utilizzando sempre di più i principi dell’invarianza idraulica e idrologica in ogni intervento sul territorio.


Dobbiamo fare in modo che non si legga solo l’intensità della pioggia e dare colpa ad essa delle conseguenze, ma dobbiamo cercare di dare il giusto peso alle precipitazioni rispetto alle tipologie di aree in cui esse si abbattono, per cercare di risolvere la problematica del dissesto idraulico e, più in generale, idrogeologico.


Dr. Paolo Pozzi

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