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Il Castagno, l’ "albero del pane", ci indica la strada per il futuro…

Il castagneto è una roba strana: non è esattamente una pratica agricola, non è solo un raccogliere i frutti della natura. È, prima di tutto, uno spazio di espressione e di equilibrio tra l'essere umano e l'ambiente,…un contatto con la Natura dalla quale ci siamo allontanati, che i popoli indigeni dell'Ecuador chiamano Sumak Yachak, cammino della saggezza, o "Buen Vivir" (Sandro Bozzolo, regista).

Queste parole ci sembrano il modo migliore per esprimere apprezzamento e gratitudine a questa importantissima specie. La memoria di molti ricorda l’emozione provata da bambini, che ci accompagna ancora oggi, legata al succedersi delle stagioni, l’esperienza della ricerca e della raccolta, la sorpresa, la rumorosa competizione e la condivisione in amicizia accanto ad un fuoco del frutto generoso del castagno. Non è una esagerazione affermare che questo albero favorisce la socialità e lo sviluppo di comunità.

Il castagno è una pianta che ha caratterizzato secoli di storia e di evoluzione delle popolazioni locali. L'economia legata a quest’albero viene da alcuni studiosi associata all'esistenza di una vera e propria “civiltà del castagno”, in aggiunta a quella dell’olivo e della vite, che nel passato in molte regioni italiane ha condizionato non solo le attività agricole, forestali e l'alimentazione, ma anche l'ambiente, il paesaggio, l’architettura e l’urbanistica in molti borghi d’Italia, l'edilizia, l'artigianato, la gastronomia, la letteratura, la poesia, la pittura, l'arte e la stessa cultura materiale della popolazione.

In Valle Mongia, in Piemonte, il castagno è chiamato l'Arbu, l'albero per eccellenza.

La coltura del castagno, per la produzione di castagne o marroni, che vedeva l’Italia primo produttore mondiale, è diminuita nel tempo di importanza o è stata abbandonata a causa dello spopolamento delle montagne verso attività più remunerative, per il miglioramento della qualità di vita, e per la riduzione della sua importanza per la produzione di tannino o per il carbone, e a causa del cambio d’uso nella gestione dei boschi. Il valore nutritivo del frutto veniva esaltato e arricchito nei detti popolari, quale: la castégna lagh’a l pan e l furmàcc (Brusio, Svizzera): la castagna contiene il pane e il formaggio, ed è entrata anche nelle espressioni proverbiali: La castagna di fuori è bella e dentro ha la magagna: si dice di una persona ipocrita.


Dall’importanza del castagno nell’alimentazione deriva anche la sua sacralità, mantenutasi nel passaggio dai culti pagani al Cristianesimo. Secondo la mitologia, infatti, quest’albero evoca il dio supremo, reggitore dell’universo, per via del tronco tozzo e possente e dei rami che si allargano radialmente, rendendo la chioma imponente. In Piemonte, troviamo retaggi di queste credenze: nella Val Vigezzo i castagni non venivano mai abbattuti, come forma di rispetto. Il legno di castagno è considerato fin dall’antichità un materiale prezioso e dal grande valore simbolico. Seguendo credenze popolari, veniva usato per realizzare le culle dei neonati, che in questo modo sarebbero cresciuti forti e sani. Grazie al potere di allontanare gli spiriti, i rametti di castagno venivano donati come talismani di protezione ai viandanti. Nella tradizione popolare piemontese le castagne avevano anche una valenza magica e benaugurante: per questo motivo erano considerate un dono prezioso in occasione del battesimo, oppure come gesto ospitale nei confronti degli invitati a un matrimonio, ben prima della diffusione dei confetti.

Dal punto di vista botanico il castagno, Castanea sativa, appartiene alla famiglia delle Fagacee, la stessa famiglia del faggio e delle querce, caratterizzata da frutti in parte o del tutto avvolti da un rivestimento a cupola (le ghiande delle querce) oppure a guscio (le faggiole del faggio e il riccio delle castagne). Maestoso albero dal tronco robusto e dalla vasta chioma, può raggiungere dimensioni eccezionali, superando anche i 30 metri di altezza. La longevità di questa specie è nota, infatti nei castagneti non è raro imbattersi in esemplari pluricentenari. Trattandosi di una pianta diffusa dall’uomo c’è una forte incertezza in merito alla sua origine, che si ritiene sia nell’Asia minore. Risulta comunque senz’altro specie spontanea, come dimostrano i rilievi di pollini fossili e l’impiego preistorico nella realizzazione di palafitte. L’areale di coltivazione del castagno è molto vasto, e copre tutti i Paesi mediterranei. 

Mentre per faggio e quercia l’impollinazione può avvenire per via anemofila, il castagno si avvale degli insetti e in particolare delle api, che ne prediligono il nettare da cui traggono un miele ambrato, tannico, leggermente antibatterico, trasportando il polline dai fiori maschili a quelli femminili che, presenti sulla stessa pianta, necessitano di impollinazione incrociata.

Il castagno fiorisce a fine giugno-inizio luglio ed è così al riparo dagli effetti dei geli tardivi di primavera. In annate di generale carestia, questa specie costituiva una vera e propria àncora di salvezza per le popolazioni di montagna, tanto da essere denominato “albero del pane” (Bruneton-Governatori 1984).

È una pianta mesofila, si avvantaggia di terreni freschi, una buona disponibilità di acqua e vive ad una quota di 400-800 metri. In Italia si trova in tutte le zone pedemontane nelle regioni alpine ed appenniniche, sino al mare.

Il castagno ha sofferto di malattie fungine che ne hanno messo a rischio la sopravvivenza e la redditività, quali il mal dell’inchiostro causato da Phytophthora cambivora e la P. cinnamomi, e dal cancro corticale provocato dal fungo Cryphonectria parasitica, arrivato in Italia nel 1938 a Genova ed in provincia di Varese nel 1948 (Banti, 1949) con una virulenza tale da far temere per la sopravvivenza stessa di questa specie, tanto che in Svizzera fu avviata una ricerca per specie sostitutive in ambiente boschivo.

Ha resistito ai danni dell’insetto Dryocosmus kuriphilus, conosciuto come cinipide o vespa del castagno, comparso nel 2002 in provincia di Cuneo. Questo parassita, ha causato gravi danni e significative perdite di produzione al suo arrivo e nelle zone di espansione per 3-5 anni. Fattori di controllo naturali e l’introduzione dello specifico imenottero parassitoide Torymus sinensis hanno contenuto la dannosità del cinipide del castagno.

I parassiti comuni, quali il coleottero conosciuto come balanino, i lepidotteri tortricidi, e i funghi agenti di nerume e ammuffimento dei frutti, pur rappresentando un pericolo per la commercializzazione del prodotto, sono sempre stati controllati dalle buone pratiche di gestione della selva castanile o del frutteto, mediante la raccolta, la pulizia del sottobosco e la selezione ed eliminazione di frutti bacati e infetti, trattamenti termici, la cura con l’acqua (novena) e l’essiccazione. Ciò che caratterizza il castagno, pianta a diffusione prevalentemente antropica, è la necessità di continue e costanti cure colturali, quali potature e rimonde, controllo e correzione dei fenomeni erosivi del suolo e concimazione del terreno.


In assenza di queste, il castagneto può essere soggetto ad una forte concorrenza e ad una rapida invasione di altre specie arboree e arbustive (noccioli, betulle, frassini, castagni selvatici, tigli, biancospini, …).

Dati dell’inventario forestale svizzero dimostrano chiaramente che senza cure colturali e senza l’eliminazione della vegetazione spontanea arborea e arbustiva avventizia, lo stato di salute di un vecchio castagno tende a deteriorarsi molto più rapidamente rispetto a quanto dettato dalla senescenza. Al di fuori delle aree tradizionali di produzione quali il Piemonte, l’Appennino Emiliano, la Campania, il Monte Amiata ed i Monti Cimini, molti castagneti hanno subito l’abbandono.

Ci sono però iniziative di recupero, come l’eroico lavoro svolto da Ettore Bozzolo nella valle Mongia, descritto nel film documentario Innesti https://www.cuneodice.it/cultura/monregalese/innesti-un-sogno-in-divenire-che-racconta-la-rinascita-dei-castagneti-di-viola-castello_75059.html, ma anche progetti di recupero di selve castanili attuate in diverse zone della Lombardia da ERSAF in provincia di Sondrio, in Valcamonica e nel Bresciano e nel comasco http://www.associazionecastanicoltorilarioorientale.it/doc/CastagneECastagneLariani_784_4392.pd, o da consorzi di castanicoltori, come a Brinzio (Varese), all’interno del Parco regionale lombardo del Campo dei Fiori. https://www.consorziocastanicoltori.it/ .

Il sapere dei castanicoltori sulla gestione dei castagneti, tramandato di generazione in generazione costituisce una preziosa fonte d’informazione sugli aspetti colturali e culturali di questa specie.

Nel tempo il castagno ha affrontato anni siccitosi, abbondanza di pioggia, eventi estremi, non mancando mai di fornirci generosamente il suo prezioso frutto, un tempo alimento importante ed oggi una sorta di dessert, che però ci ricorda le nostre origini ed il legame con il territorio montano. L’attuale tendenza legata al cambiamento climatico costituisce una sfida per il castagno, pianta che ama climi temperati. I picchi di temperature raggiunti nelle scorse estati possono costituire un forte limite alla sua sopravvivenza e alla produzione dei frutti. Infatti, uno studio dell’Università di Milano prevede una restrizione dell’areale climatico del castagno nel 2050 (https://sites.unimi.it/castaneval/2024/07/22/castagno-e-cambiamento-climatico/ ).

Il castagno non è molto considerato nella realizzazione di parchi e giardini, sicuramente per le necessità di spazio, e probabilmente anche a causa dei ricci che produce.

Ma la sua presenza, come maestoso esemplare maturo, conferisce unicità agli spazi verdi. Si distingue per la foliazione più tardiva rispetto alle altre specie, per il fogliame, e per la corteccia che a maturità rappresenta un valore decorativo affascinante, in tutte le stagioni.

Spettacolare è l’elemento decorativo offerto dalla generosa fioritura, nel mese di giugno, e soprattutto il profumo che diffondono i fiori.

Chiaramente la sua collocazione richiede spazi adeguati, come elemento centrale di aree verdi, o come solitaire

Ogni “Castagneto tradizionale”, piccolo o grande che sia, rappresenta un “Complesso Monumentale Patriarcale e Storico” in quanto tale, meritevole di protezione, salvaguardia e riconoscimento. Per questo il Centro Studi Documentazione Castagno di Marradi (Firenze) si è fatto promotore, in collaborazione con l’Accademia dei Georgofili Italiana ed Europea, di un’iniziativa allo scopo di riconoscere il castagno europeo (Castanea sativa Miller) Patrimonio UNESCO dell’Umanità, Ottenere il riconoscimento UNESCO potrebbe contribuire ad arrestare la perdita di castagneti e ad avviare una ripresa della coltura.

L’albero del pane ha affrontato lo scorrere del tempo con la sapienza e l’adattamento che molte specie vegetali possiedono, ha saputo affrontare le avversità climatiche e biotiche e soprattutto l’abbandono da parte dell’uomo, non facendoci mai mancare la sua gradevole e generosa presenza, sopportando e attendendo con pazienza la nostra attenzione e le nostre cure… dimostrando doti incredibili di resilienza… e ci indica la strada per un futuro sostenibile.




Dr. Eugenio Gervasini

Dr.ssa Beatrice Melone




 

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