Interventi su Jubea chilensis - Esperienze professionali
La Jubea chilensis o jubea è una palma originaria del Cile, è la sola specie del genere Jubeae. Forse fu introdotta in Europa nel 1608, le prime in Italia datano 1846/1849 (fonte Fitocronologia Maniero). È una delle palme più rustiche, resiste fino a -15°C, ha problemi con eccessi di acqua ed umidità. Per le sue caratteristiche si è diffusa in tutto il mondo in aree climaticamente adatte, tra cui le sponde del Lago Maggiore. Palma con tronco singolo di colore grigio che cresce fino a 25 metri, con diametri fino a 160 cm. Le foglie pennate da 30 a 50 cm appressate al rachide con spine su entrambi i lati di color verde grigiastro, arcuate da giovani e più rigide con l’età; cadono di solito verso il 4/5 anno di età. Fiorisce in panicoli maschili e femminili color porpora, separati ma sulla stessa pianta, che portano, se fecondati, alla formazione di frutti di circa 5 cm, inizialmente gialli a grappolo, poi piccole "noci di cocco" a maturità (edibili) con semi di circa metà del frutto.
Ha un accrescimento iniziale molto lento, occorrono anche 10 anni per "formare la base" prima di crescere in altezza.
Sulla sponda piemontese fino a Locarno sono presenti alcuni esemplari di grossa dimensione; centenari generalmente messi a dimora a inizio 1900 che presentano stipiti attorno al metro di diametro. In questi anni mi è capitato di poterne valutare alcuni esemplari di grossa dimensione; centenari generalmente messi a dimora a inizio 1900 che presentano stipiti attorno al metro di diametro. In questi anni mi è capitato di poterne valutare alcuni.

La pianta essendo una monocotiledone ha uno stipite non differenziato come in un faggio o in un abete che, pur essendo differenti geneticamente e strutturalmente, permettono l'utilizzo di strumenti come tomografo o resitografo per il loro esame e verifica delle degenerazioni presenti.

Queste piante hanno come altre palme una riposta alle analisi, da valutare con attenzione. Il resitografo evidenzia profili piatti e le tomografie sembrano essere di piante completamente cave.

Pertanto risulta difficile esaminare, se non interpretando e conoscendo la pianta, i risultati ottenuti.
Si è utilizzata la conosciuta metodologia di analisi VTA opportunamente modificata e identificato come VPA (Visual Palm Assessment) che muta i principi del VTA, assoggettandoli alle caratteristiche uniche delle palme, (di riferimento: “Le palme Ornamentali” di Daniel Jacquemin e “La potatura delle palme ornamentali biolgia, ecologia e gestione”, di Bmoya, J. Plumed, C. Littardi del - Comune di San Remo).
Queste piante avendo una biologia e tipologia accrescitiva differente non presentano, a volte, sintomatologia corrispondente a danni interni. Anche degenerazioni estese oltre il 70% possono non mostrare sofferenza da parte della chioma. Questo grazie ad un efficientissimo e caratteristico "sistema idraulico".
La jubea in questione con diametro di 96 cm ed altezza di 9 metri circa, solo di stipite senza chioma, era stata colpita a lungo da un fungo cariogene che nel tempo l'aveva degradata per circa 2/3 della circonferenza tra 1,5 e 5 metri. Circa 370 cm l'altezza dell'area interessata che, tra 240 cm e 350 cm mostra la parte più danneggiata.




Questa situazione aveva portato negli anni ad uno sviluppo differenziato dello stipite che presentava circonferenze differenti secondo l'altezza: 380 cm alla base, 286 cm a 130 cm, e 303cm a 5 metri. La degenerazione era stata a suo tempo coperta con cemento. Grazie alla "firma dell'artista" si è potuto valutare che era stata coperta nel 1954, ma la ferita era di sicuro più vecchia. Per fare "aggrappare" il cemento erano stati usati chiodi di rame che, una volta rimosso il cemento, hanno mostrato come il tessuto dello stipite si era degradato attorno a loro, "intossicato" dal rilascio di rame da parte dei chiodi. A rimozione finita la parte degradata era "enorme" e tale da non garantire che la pianta non cedesse in quell'area. La volontà del proprietario di salvarla (la pianta era stata messa a dimora nel 1915 circa) ha posto in essere uno studio per giungere alla messa in sicurezza della pianta, se possibile. La prima cosa che si è pensato è stata quella di mettere una gabbia che collegava e rinforzava la parte colpita posizionandola ai suoi estremi sani. Per posizionare la struttura, è stato necessario capire quale parte più prossima alla degenerazione era sana, per non posizionare la gabbia sulla parte degenerata, in modo tale che non risultasse favorevole allo schianto, anziché preservarla. In questo caso tramite percussione con martello di plastica e stetoscopio (!!) si è cercato di individuare le aree circolari sane.


A questo punto una volta identificate le suddette parti, sono state fatte due tomografie: la prima a circa 120 cm e l'altra a 500 cm. Quest'ultima ha dovuto fare affidamento ad una piattaforma per potere eseguire non senza difficoltà l'esame in quota.
Questi risultati esaminati e valutati con la consapevolezza della pianta sotto osservazione, hanno mostrato che la parte esterna dello stipite era sana in quei punti. La corona della pianta era integra o comunque tale da essere utile allo scopo. I punti dove consolidare la pianta erano stati identificati.
Condiviso il progetto con il fabbro, ci siamo trovati di fronte ad una struttura che per peso avrebbe creato più danni che essere utile. A questo punto interessando anche altre professionalità si è deciso di collocare un collare a 5 metri, collegato a terra con cavi fissati al suolo tramite micropali, per stabilire dove dovevano essere fissati i cavi, in modo da non sovraccaricare lo stipite danneggiato e dividere in modo omogeneo e rispettoso delle problematiche le forze in atto. È stata considerata la presenza di un edificio vicino e verificate le azioni del vento durante alcune giornate ventose. Questi elementi hanno permesso di scegliere come posizionare i cavi collegati al collare apicale.
Il colare è stato posizionato in zona sana con la presenza di un piccolo "gradino" che ne poteva impedire lo scivolamento, oltre all'uso di piccoli cunei di legno con funzione primaria di antisfregamento.
A tutt'oggi, sono trascorsi cinque anni e la pianta à ancora in piedi, nonostante i forti venti dell'ottobre del 2019. La degenerazione liberata dal cemento e dai chiodi in rame si è stabilizzata asciugandosi; infatti il cemento seppur copriva il problema permetteva alla umidità di favorire la degenerazione e il rilascio di rame dei chiodi. Periodicamente si controlla il collare apicale che in questi anni si è leggermente mosso senza però causare problematiche ulteriori.
Dr. Fabrizio Buttè
Comments